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Comunicare il futuro!? - ricerca sociologica / 2

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Comunicare il futuro!? - ricerca sociologica / 2

1 - Un fenomeno sociale in costante evoluzione:
(informazione e comunicazione nell’occhio dei mass-media).

“L’eccessiva quantità di informazioni può essere paragonata alla sua totale assenza.”
L’affermazione alquanto emblematica è del teorico della comunicazione M. McLuhan apparsa in “Il medium è il messaggio” (1967), con la quale esprime una sua osservazione sull’influenza esercitata dai mass-media nella società a lui contemporanea. Quanto più valida oggi che la ricchezza delle informazioni (newspapers, magazine, agenzie di stampa ecc.); la varietà degli strumenti di comunicazione (radio, TV, social network, newsgroup, talk-show ecc.); gli innumerevoli dispositivi informatici (personal computer, installazioni multimediali, common, internet ecc.), se da un certo punto di vista rappresentano una piattaforma di scelte possibili (banche dati); dall’altro aumentano la problematicità di “accesso e dominio dello spazio virtuale” di competenza specifica dell’utenza che ne usufruisce.

Insieme indecidibile di una ‘visione ipotetica’ generalizzata, la ‘mente informatica’, in quanto non lascia spazio a un confronto adeguato alla velocità mimetizzante dell’intelligenza umana, assume sempre più spesso sembianza di “…complessità virtualmente filtrata del reale, in cui le interrogazioni si dispongono come la domanda le prevede e le sollecita ad essere”, scrive U. Galimberti in “I miti del nostro tempo” (2012), cioè sovrastata e destrutturata dalla sua stessa essenza. Dacché sorge la necessità di un ‘modello etico’ (protocollo) che regoli l’informazione, di pari passo alla comunicazione, per un uso più appropriato consono alle esigenze della massa utente.

Il problema, poiché di problema si tratta, è di tipo antropologico-conservativo, rispondente a quella stabilità organica psichico-fisiologica progressiva, cercata, raggiunta e accresciuta dal ‘consenso di omologazione’ (riconoscimento globalizzante) in atto, che trova fondamento nelle capacità umane di ‘intendere’ e di ‘volere’, per quanto queste vengano eluse dall’invasione spasmodica (inquietante) della tecnologia informatica. Ciò che, al tempo, rispecchia quanto affermato da J. Baudrillard autore di alcune riflessioni provocatorie sulla globalizzazione, apparse in “Società, politica e comunicazione” (2010): “Alla fine del processo (di integrazione) non si ha più la differenza tra il globale e l’universale scala dei valori. […] Anche l’universale viene globalizzato, la democrazia e i diritti dell’uomo circolano esattamente come qualsiasi prodotto globale, come il petrolio o come i capitali”. Affermazione con la quale si evidenzia il rischio di una latente inerzia di massa che i media dell’informazione e della comunicazione capitalizzano come ‘dominio precostituito’ all’interno della sfera pubblica.

Considerato il fatto che nella società tecnologica “informare” significa in primo luogo “comunicare”, oggetto di questa ricerca, di per sé non lascia spazio a dubbi o a recriminazioni di sorta sulla validità dello strumento utilizzato, in quanto il fine ultimo rimane l’utenza, ‘forza e sostanza virtuale dei mass-media’, indicativa di tutto quanto ad essa si rivolge; ancor più s’avverte la necessità di una maggiore ‘presa di coscienza intellettuale’ che corrisponda all’ “etica deontologica professionale” degli operatori del settore (giornalisti, pubblicitari, marketing-makers, producer ecc.), sia dell’informazione più in generale, sia della comunicazione privata (manageriale, aziendale, corporativa, ecc.), stante la pluralità di significati e campi di applicazione.

A tale scopo I. Montanelli, da quel comunicatore professionale che lo distingue, ha avallato una sua indubitabile persuasione, apparsa in “Il dover essere giornalista oggi” (1989), in cui riferisce le ragioni di una ‘deontologia necessaria’ che, pur non evitando gli errori che fanno parte del proprio lavoro, determina la validità della sua affermazione: “La deontologia professionale sta racchiusa in gran parte, se non per intero, in questa semplice e difficile parola: ‘onestà’, […] per cui si differenzia dall’etica perché accanto all’affermazione di principi affianca sanzioni per le eventuali violazioni. […] Ciò, per quanto gli onesti siano refrattari alle opinioni di schieramento – che prescindono da ogni valutazione personale – sia alle pressioni autorevoli che alle mobilitazioni ideologiche.”

Ma se l’assenza di una diffusa sensibilità morale, fa sorgere l’esigenza di una disciplina “Etica della Comunicazione” – come in effetti è richiesto dallo Statuto dell’Ordine dei Giornalisti – il format ‘Internet’, utilizzato, copre di fatto l’avvenuta globalizzazione in entrambi i settori dell’informazione e della comunicazione in generale, contribuendo a determinare (snaturandoli) quelli che sono i rapporti di potere (governi, banche, multinazionali), mai come oggi esigiti dalle politiche governative (sociali), dall’economia dominante (finanze) e dal mercato degli affari. Seppure – a mio parere – viaggia in netto contrasto con l’attuale manipolazione speculativa che se ne fa nel linguaggio quotidiano sui media.

Come quella, ad esempio, di monopolizzare la ‘comunicazione’ a un approccio surrettizio sia nella divulgazione dell’informazione pubblica, sia nelle forme della pubblicità falsamente differenziata, così come nell’uso smisurato della propaganda politica in fatto di ‘ambiente’ (eco-sostenibilità, bio-diversità ecc.). Valga per tutte, l’assistere incondizionato dello stravolgimento della terra, con cui, è bene ricordarlo, da sempre abbiamo instaurato un rapporto conflittuale (smottamento di montagne, deviazione di corsi fluviali, cancellazione di territori agricoli, boschivi ecc.), che ha segnato irreparabilmente il decorso degli equilibri ambientali naturali. Se ne constatano gli effetti nell’accadimento gravoso delle continue frane sismiche in molte aree geografiche del nostro paese e in quelle più recenti dell’area mediorientale, che richiedono l’intervento unito dei governi per soccorrere quanti sopravvissuti alle catastrofi.

Così come è accaduto in occasione della pandemia mondiale che ha colto le popolazioni impreparate ad affrontarla, e che ha richiesto alla scienza di misurarsi in una corsa folle, seppure coadiuvata da forti investimenti economici, a trovare soluzioni di tamponamento onde evitare una calamità progressiva di cui ancora non si conoscono gli effetti ultimi. Problematiche, queste, che si sommano alla caduta demografica (quantomeno prevedibile), causata dall’invecchiamento della popolazione che ha provocato un mancato incremento delle nascite. In aggiunta agli effetti della più grande emigrazione (pari solo a quella biblica) mai vista finora, di cui siamo prontamente aggiornati con reportage e immagini ‘in diretta’ e ‘on line’, anche grazie alle più recenti tecnologie satellitari messe al servizio della ‘comunicazione globalizzata’.

Tuttavia, superato lo scoglio delle criticità evidenziate, la ‘divulgazione informatica’ ha assunto importanza strategica nell’intero comparto dei sistemi informatici; così la ‘navigazione’ in Internet, unitamente alla quantità e alla velocità di diffusione ‘in tempo reale’ (email, posta elettronica, forum e community, siti e blog personalizzati ecc.), ha permesso, inoltre, di ottenere informazioni onnicomprensive un tempo inaccessibili, che hanno accelerato gli scambi interpersonali, favorito le politiche di cooperazione economica e sociale, procurato e convogliato risorse per la ricerca scientifica e la sostenibilità ambientale. Altresì di modificare e indirizzare significativamente le problematiche della solidarietà alle esigenze dello sviluppo sociale e, non in ultimo, la possibilità di attivare modelli economici di pianificazione degli interventi nazionali e sopranazionali delle politiche comunitarie; consentire l’interazione fra le strutture socio economiche degli stati globalizzati in fatto di politica estera, e la condivisione di soluzioni problematiche come – unico esempio – la conservazione delle specie viventi, umani compresi.

Tutto ciò richiede un’approfondita riflessione critica e quanto meno dubitativa sull’impatto provocato dalle nuove tecnologie sull’ “eco-sistema” dei gruppi sociali che, in quanto esseri umani, sono soggetti emotivi e quindi suggestionabili dagli eventi, di quanto accade inaspettato nella propria esistenza, piuttosto pronti a somatizzare psicologicamente in senso contrastante l’effettiva portata della tecnologia espansiva. Allo stesso modo rendendosi incapaci di elaborare nell’immediato risposte di prevedibilità fattiva che necessitano di un margine di tempo più dilatato. La difensiva contro il ‘nuovo che avanza’ vede in primo piano la difesa della ‘sopravvivenza’, ciò che pur rende l’umanità attiva e aliena nel soccombere alle incertezze della vita.

Come insegna Z. Bauman, il sociologo per eccellenza dei nostri tempi, in “La società dell’incertezza” (1999): “Se la società moderna esiste è perché ha ragione di esistere in logica della sua incessante attività d’individualizzazione, […] così come le attività degli individui consistono nella quotidiana (costante) riformulazione e rinegoziazione della rete degli obblighi reciproci. […] La società degli individui plasma l’individualità dei suoi membri e di quanti ne fanno parte, che danno forma alla società tramite le loro azioni vitali e il perseguimento di strategie plausibili e fattibili all’interno della rete socialmente costruita della loro dipendenza”.

Tale quindi la forza della ‘comunicazione’ sì da fare da tramite fra un’utenza sempre più attenta e la tecnologia più che mai innovativa, per quanto sia legata a un’indubbia ‘realtà sociale’ subalterna nella quale, abbandonati gli eventi e gli accadimenti che accompagnano il nostro vivere quotidiano, in effetti ci conduciamo. Tuttavia non trovo nulla di sconcertante, né di catastrofico nelle parole del grande sociologo, semmai una sorta di subalternità cosciente in contrapposizione con quanto in ‘realtà’ fluidifica nel nostro cosiddetto ‘libero arbitrio’, cui attribuiamo le nostre (dubitabili) scelte e/o la nostra (incerta) volontà individuale. Di fatto la metafora della ‘liquidità’ di tutto quanto concerne il vivere quotidiano coniata da Z. Bauman, ha verosimilmente marcato i nostri anni, entrando nel linguaggio comune per descrivere l’incertezza della società in cui viviamo. Tale anche, l’indagine conclusiva di “Modernità liquida” (2019), in cui l’autore mette l’accento sul ‘male oscuro’ che grava sulle future generazioni:

“Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una ‘gioia’ ambigua e un ‘desiderio’ impossibile da saziare”.

Desiderio che ha determinato “…una svolta apparentemente sconcertante d’una presunta ‘immortalità’ cui noi tutti tendiamo”; cioè la volontà all’autoaffermazione individuale, all’interno di una società resa ormai fluida, tendente ad uno ‘stile di vita’ che vorremmo più confacente al nostro tempo. E non solo, ma ed anche, propositiva di una ricercata solidarietà, nel rispetto di quella libertà che a volte pur ci distingue in quanto esseri umani, soprattutto quando opera in conformità con certi “...modelli standard imposti da forti pressioni sociali che - in ultima analisi – pure ci risparmiano da una tale agonia: grazie alla monotonia e alla regolarità di condotta raccomandati, imposti e inculcati dai mass-media”.

Ciò, per quanto come esseri umani arranchiamo nel “…procedere e ben di rado veniamo a trovarci privi di adeguate direttive, o che finiamo in situazioni in cui occorre prendere decisioni e assumersi la responsabilità senza conoscerne le conseguenze, rendendo così ogni passo, irto di rischi e difficile da calcolare”. […] Ne deriva un crescente sentimento di insicurezza sulla scena contemporanea – afferma inoltre Z. Bauman in “La solitudine del cittadino globale” (2008), per il quale “…l’identità è oggi come un vestito che si usa finché serve: sessuale o politica, religiosa o nazionale, precaria come tutto della nostra vita, di là dalla nostra intelligenza e immaginazione. [...] Il nostro mondo liquido-moderno è in continua trasformazione. Tutti noi – volenti o nolenti, consapevoli o no, che ci piaccia o meno – veniamo trascinati via senza posa, anche quando ci sforziamo di ‘calcolare l’incalcolabile’ o di rimanere immobili nel punto in cui ci troviamo”.

Si è qui di fronte a dover fare una scelta in termini etici e a valutare quali conseguenze aspettarci dall’informazione globalizzata, la cui pluralità di significati va oltre i termini posti dalle tecnologie avanzate, che richiede di continuare nella sperimentazione sia in ambito della ‘sfera pubblica’ che in quello della ‘comunicazione di massa’, al fine di riorganizzare il messaggio originale sociolinguistico e/o plurilinguistico dei ‘diritti’ e dei ‘vincoli’ che lo governano, e che va letto in funzione della didattica divulgativa integrata con le strutture avveniristiche socio-politiche, economico-tecnologiche con le quali si trova a interagire.

Il confronto coi sistemi comunicativi del passato, che a loro volta già avevano sollecitato una certa riflessione critica, è inevitabile; ancor più oggi che detti sistemi esercitano una grande influenza nei processi di formazione dell’“opinione pubblica”, parallelamente al configurarsi sociale delle nuove generazioni maggiormente sviluppate in tal senso. La percezione di tali mutamenti è riscontrabile nell’introduzione elaborata di assetti patogeni nei giovani con, come ad esempio nell’uso del linguaggio, nella gestualità ad esso legata, nei modi spesso impropri del dialogare, fortemente suggestionati dall’impiego sfrontatamente propagandistico d’una pubblicità fin troppo invasiva e dall’uso speculativo manipolato dalle più avanzate tecnologie.

Scrive Marica Tolomelli in “Mass media e opinione pubblica” (2006): “Sotto questo profilo i mezzi di comunicazione di massa assumono il carattere di stimolatori con cui distrarre, sviare dai propri autentici bisogni, facendosi strumenti di riproduzione dei rapporti sociali esistenti (reali non virtuali), vettori di un ‘ordine sociale’ (e/o disordine), inteso come normativo cui non è possibile sottrarsi. […] Il concetto di manipolazione non presuppone una dogmatica imposizione di valori, ma implica meccanismi (altri) di condizionamento indiretto sugli individui, sia rispetto agli orientamenti cognitivi, sia allo stile di vita, nei gusti che nelle preferenze, un condizionamento veicolato in primo luogo attraverso i mass-media”.

Sulle implicazioni sociali politiche e culturali che le nuove tecnologie stanno modificando nell’assetto della ‘sfera pubblica’ non è ancora possibile esprimere un giudizio complessivo attendibile, tantomeno di critica da parte di quanti s’improvvisano opinion-leader nell’affollamento programmatico dei talk-show televisivi, sulla carta stampata e nell’informazione sociale, benché assai numerosi risultano gli aspetti salienti riscontrabili nell’uso espansivo della “robotica” (cibernetica applicata), afferenti all’automazione industriale (medica, matematica, astronomica ecc.) ormai giunta a livelli stratosferici, su cui al giorno d'oggi la “comunicazione scientifica” ha esteso il proprio dominio.


(continua)

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